JE
T’AIME JE T’AIME (1968)
Titolo
originale: Je t’aime, je
t’aime; regia: Alain
Resnais; sceneggiatura:
Jacques Sternberg; fotografia:
(Eastmancolor panoramico) Jean Boffety; suono:
Albert Bonfanti; montaggio:
Colette Leloup, Albert Jurgenson;
scenografia: Jacques Dugied,
Auguste Pace (per la macchina del tempo); musiche:
Krzysztof Penderecki;
interpreti: Claude Rich
(Claude Ridder),
Olga Georges-Picot (Catrine),
Anouk Ferjac (Wiana
Lust),
Georges Jamin (Dr. Delavoix),
Van Doude (direttore del
Centro), Dominique Rozan (Dr.
Hesaerts, medico del Centro),
Alain Robbe-Grillet (Hughes
Mechelynck, ufficio stampa),
Cathrine Robbe-Grillet (segretaria),
Jean Michaud (direttore della
casa editrice), Jacques
Doniol-Valcroze (dirigente
nella casa editrice), Jean
Claude Romer (invitato);
produzione:
Mag Bodard; coproduzione:
Parc Film, Fox Europa; distribuzione:
Twentieth Century Fox; durata:
91’; anno:
1968
Festivals:
Invitato al festival di Cannes, non vi fu proiettato per
l’interruzione della manifestazione. Festival d’Acapulco
Claude
Ridder ha tentato il suicidio ma senza successo. Un manipolo di
scienziati del non meglio identificato Centro di ricerche Crespel gli
propone di fungere da cavia per un esperimento molto ambizioso: il
primo viaggio a ritroso nel tempo della durata di un minuto, in
compagnia di un topolino bianco. Ridder si ritrova al punto preciso
del suo passato in cui era il 15 settembre 1967 alle 16. Ma qualcosa
va storto: in un movimento oscillatorio tra presente e passato,
ripercorre «16 anni della sua vita, dalle ore 11 del 7 dicembre 1951
(data del primo impiego come imballatore di libri e riviste) alle ore
5 del 5 agosto 1967 (data del tentato suicidio)»1.
Egli cade a spirale nel proprio passato: il lavoro d’ufficio, il
volto di Catrine, le interminabili attese alla fermata del tram, le
donne, un poster di Magritte appeso alle pareti, il mare, il tragico
epilogo della sua vita. Le presenze del passato lo avviluppano per
poi inghiottirlo senza più nessuna possibilità di ritorno.
Je
t’aime je t’aime è un
film che ha riscosso favori contrastanti da parte della critica, i
detrattori ne hanno tutt’al più concesso il titolo di opera
minore, gli estimatori lo amano alla follia. Gli strali della critica
si sono appuntati in particolare sulla struttura del racconto
filmico, ravvisandone un disordine o alternativamente un
intellettualismo derivante dall’applicazione dogmatica del metodo
della scrittura automatica, di matrice surrealista.
Qualcuno
in particolare ha espresso disappunto o esplicita irritazione per la
scelta operata da Resnais e dallo sceneggiatore Sternberg di affidare
l’unità dell’impianto dell’opera alla dimensione
science-fiction
che ne avrebbe ridotto il potenziale di sperimentazione e appesantito
la narrazione attraverso «la macchinosità dell’apparato
scientifico» a discapito del «progetto di autenticità e di
essenzialità caotica della ricerca esistenziale»2,
realizzato attraverso il viaggio a ritroso nel tempo effettuato dal
protagonista, Claude Ridder.
In
realtà la «gotica, farraginosa, surrealistica macchina del tempo»3
tanto deprecata da certa critica, è lì ad omaggiare proprio la
macchina cinema (almeno quella pesante, ingombrante, analogica in
auge nel 1967): quel bozzolo fatto di morbide protuberanze ha
l’aspetto di un ventre materno immediatamente richiamato dal
liquido amniotico in cui si ritrova immerso Claude Ridder durante la
vacanza in Costa Azzurra; di certo quello stesso abitacolo si è
ispirato ai comics
e non lesina una strizzatina d’occhio ai b-movies;
ma è anche vero che quella zucca gigante smaccatamente artificiosa,
alimentata da innumerevoli quanto aggrovigliati cavi elettrici,
rimanda istintivamente ai baracconi delle meraviglie delle fiere o
dei luna park in cui il cinema è nato per il divertimento delle
folle. La sua forma misteriosa e attraente invita lo spettatore ad
entrarvi, ad esplorarne le viscere per provare sensazioni
irripetibili; d’altra parte è categorica la posizione di Resnais
riguardo alla vocazione del cinema: «Se Bresson parla di un
cinema-scrittura opposto a un cinema-spettacolo, io mi considero
dalla parte del cinema-spettacolo, forse a torto, ma è in questo
senso che lavoro»4.
Resnais
‘crede’ alle fiabe e alla magia del cinema, ma per fruirne è
necessario assumere lo sguardo del bambino; solo così è possibile
entrare nella tenda-zucca e, letteralmente e fattivamente, scomparire
come Claude Ridder. La macchina del tempo, il viaggio, l’esotismo
fondano il proprio realismo sulla natura indicale del mezzo, tanto
che al cinema il passato (e il futuro) hanno la stessa pregnanza del
presente proprio perché scorrono sulla pellicola secondo un ordine
paratattico in un eterno presente, quell’hic
et nunc che fonda l’essenza
ontologica del cinema. In questo senso non si può parlare al cinema
di flashback
o flashforward:
«Si parla spesso di flashback: penso di non aver ancora fatto un
flashback nella mia vita, soprattutto non in Je
t’aime je t’aime, dove
siamo in un presente totale, poiché seguiamo Ridder e non lo
lasciamo mai nel suo viaggio. Non ci scappa un secondo. Il tempo,
allora, non corrisponde affatto alla nozione di svolgimento, ed è
per forza un presente»5.
È Per questo motivo che Resnais esprime forti perplessità riguardo
alla possibilità di parlare del suo cinema come memoria, come se
fosse una realtà di secondo grado rispetto al presente.
A
proposito della struttura del film, niente è più falso
dell’affermazione per cui i frammenti della vita di Claude Ridder,
che compongono il puzzle del suo viaggio nel passato, sarebbero
ordinati casualmente.
In
realtà tale struttura è costruita in maniera assai rigorosa, e si
avvale di due tipi di ordine: un ordine del racconto che si confa
alla dimensione fantascientifica del film e un ordine musicale che
invece presiede all’organizzazione delle rivisitazioni del passato
esperite dal protagonista.
L’esplorazione
degli episodi frammentari del passato si organizza in quattro nuclei:
il rapporto di Ridder col lavoro d’ufficio, l’incontro e il
ménage quotidiano con Catrine, la morte di Catrine e gli
interrogatori della polizia, la frequentazione di altre donne e i
tradimenti di Ridder. Questi nuclei rappresentano i temi centrali
delle immersioni nel passato di Ridder e straordinario è il modo in
cui il regista li ha ‘orchestrati’. Sebbene si possa riconoscere
un ordine cronologico tra di essi (per esempio il tema dell’omicidio
di Catrine viene annunciato solo a metà film), il loro sviluppo non
è lineare ma funziona secondo un meccanismo di propagazione. Si
potrebbe parlare di un effetto eco su quattro temi maggiori e,
scivolando nel dominio dell’udito, evocare le parole dello stesso
Resnais a proposito del cinema come struttura musicale: «Credo che
se si definisse il film con un diagramma eseguito su una carta
millimetrata, si arriverebbe a scoprire una forma vicina alla forma
sonora del quartetto: temi, variazioni a partire dal primo movimento,
di qui le ripetizioni, i ritorni, che possono essere insopportabili
per quelli che non entrano nel gioco del film»6.
Questo
tipo di trattamento delle immagini, il cui funzionamento non si pone
all’insegna dello svolgimento cronologico e razionale, propone una
nuova modalità di conoscenza: si attualizza cioè una scrittura
dell’affettività che non procede per implicazioni logiche del tipo
causa-effetto ma per intensità via via crescenti. Le istanze di tipo
psicologico, emozionale ed esistenziale si danno attraverso serie di
ripetizioni differenti che si sedimentano nella mente e nel cuore
dello spettatore. Resnais, in una scena che vede occupato Ridder in
una conversazione telefonica alle prese con la correzione di alcune
bozze, e che precede il fatidico momento clou
del suicidio, fa probabilmente riferimento a due tipi di conoscenza,
l’una visiva e l’altra tattile. Attraverso l’occhio si
attualizza un tipo di conoscenza rappresentazionale, di tipo
logico-inferenziale, attraverso il tatto invece si esplicita un tipo
di conoscenza determinata dalla reiterazione e di tipo progressivo,
più lento, che favorisce la familiarizzazione coi dati per
stratificazioni successive.
Resnais
ravvisava comunque la necessità della cornice fantascientifica in
quanto «supporto che, in certo modo, aguzza l’immaginazione e
mette forse lo spettatore in uno stato infantile»7.
Insomma, affinché il film susciti l’emozione dello spettatore, è
necessario rispettare la classica struttura in tre atti senza
abbandonarsi alla sperimentazione pura come quella che aveva in mente
Sternberg quando pensava ad un film della lunghezza di 12 o 24 ore da
fruire in qualsiasi momento e che precorreva le sperimentazioni della
video arte e si allineava all’arte d’avanguardia di Andy Warhol8.
Così
il racconto di fantascienza si svolge secondo i tre atti canonici
attraverso i quali si articola ogni buona sceneggiatura: Claude
Ridder, sopravvissuto al tentativo di suicidio, viene avvicinato
dagli scienziati del Centro di ricerche Crespel che gli propongono di
fare da cavia umana per un esperimento di viaggio nel passato
(inciting event
al 10’), egli si sottopone all’esperimento ma qualcosa va storto
(prima svolta
al 22’). Esattamente a metà film (punto
centrale al 45’) Claude
Ridder comprende che l’esperimento presenta una falla, si solleva
dal lettino e chiede aiuto. In questo preciso momento, come “da
copione”, assistiamo ad una trasformazione radicale del
protagonista che da soggetto passivo qual era, non interessato alla
vita e contraddistinto da un atteggiamento spleenetico
nei confronti del mondo, diviene attivo. La comoda poltrona
ergonomica sulla quale il suo corpo è adagiato si arricchisce di
connotazioni terapeutiche identificandosi col lettino dello
psicanalista: il flusso di coscienza, la riemersione dei ricordi e la
coazione a ripetere sempre lo stesso frammento di riemersione dalle
acque (dall’inconscio) del Midi si palesa come un vero e proprio
meccanismo di elaborazione del lutto il cui acme coincide con la
confessione e auto-assoluzione dell’omicidio di Catrine (seconda
svolta al 70’). Il terzo
atto si risolve poi nella rivisitazione del suicidio di Ridder e
nella morte definitiva nella coincidenza di tempo presente e tempo
passato.
di Rebecca Amanda Snyder
1
S. ARECCO, Alain Resnais o la persistenza della memoria, Le
Mani, Genova 1997, p. 109
2
P. BERTETTO, Alain Resnais, Il Castoro cinema/La Nuova
Italia, Milano 1976, p. 120
3
Ibidem, p. 108
4
Intervista di Patrick Bureau in «Les Lettres françaises», 2
maggio 1968, pp. 18-19, in M. REGOSA (a cura di ) Alain Resnais.
Il metodo, la creazione, lo stile, Biblioteca di B&N,
Documenti e Strumenti n. 5, 2002, p. 230
5
Intervista di Luce Sand in «Jeune cinéma», 31, maggio 1968, pp.
2-8, in M. REGOSA (a cura di ) Alain Resnais. Il metodo, la
creazione, lo stile, cit., p. 229
6
Cit. in P. BERTETTO, Alain Resnais, cit., p. 3
7
Intervista di Luce Sand in «Jeune cinéma», 31, maggio 1968, pp.
2-8, in M. REGOSA (a cura di ) Alain Resnais. Il metodo, la
creazione, lo stile, cit., p. 228
8
Si pensi per esempio a Sleep (1963), un lunghissimo long
take della durata di 5ore e 20 minuti che riprende John Giorno,
amico di Andy Warhol, mentre sta dormendo.
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